Il diario di Vittorio Claudi
Dopo l’arrivo degli americani cambiammo di casa. Un bell’appartamento su Via Bertoloni, un metro sopra il livello stradale, con un grande salone. Ogni domenica pomeriggio venivano a trovare Claudio, e anche mia madre, che appariva più tardi, poeti, pittori, scrittori più o meno maledetti. Le urla delle discussioni salivano al sesto piano. Erano questioni di arte generalmente. Certamente non venivano quelli classificati. Qualche volta venne Cardarelli e allora, per rispetto al vate, gli urlatori si accalcavano nella camera adiacente di mio fratello. Potrei fare un lunghissimo elenco. Molti di essi erano di assoluta avanguardia e oggi qualcuno viene riconosciuto, pur con pochi frammenti che ne rimangono. Il più maledetto era Piero Ravasenga. Figlio della benestante borghesia torinese, di un medico dei dintorni di Torino, aveva distrutto un patrimonio in pochissimo tempo. Sesso diversificato e taverne. Lessi, dattiloscritte, sue poesie, erano bellissime. Se si ritrovassero forse starebbe nella rosa dei poeti italiani di questo secolo […] Di pittori ne venivano tanti. Stradone ci ha lasciato dei disegni osceni […]
Di un pittore maledetto, Ciampolini, mi rimane un bellissimo disegno su carta da velina per macchina da scrivere. Tante mani intrecciate e scritte deliranti. Morì in un manicomio.
Tra i poeti debbo ricordare Pasquale Marino Piazzolla, il re galantuomo, per la straordinaria somiglianza. I suoi racconti degli anni della sua bohème parigina, ci incantavano. Una volta scrisse un volume di poesie (per poca moneta) per una gentildonna. Il suo scorno, per tutti segreto, fu che il premio di poesia (non so quale) dell’annata lo vinse la gentildonna e non lui. E, dopo, non ebbe sottomano neanche un grazie.
Scrittori, romanzieri, giornalisti e scrittori tanti, tanti, tanti, si può dire tutti, meno quelli ufficializzati dalla stampa e dalle case editrici. Alcuni di essi successivamente ebbero notorietà. Ma a Claudio venivano a trovarlo anche di notte. Dagli alberelli della via raccoglievano due sassolini e li lanciavano sui vetri della finestra della camera un po’ illuminata dalla lampada da tavolo di Claudio che scriveva o sognava. A quel segnale, apriva il portone.
A casa nostra si veniva senza invito. Una sera, alla mezzanotte, Trovaioli e Piccioni ci scaricarono, dopo il concerto, Duke Ellington e un nugolo di ragazzi e ragazze (oggi si direbbero fans). Il salone era zeppo. Duke Ellington si fermò due o tre ore. In parte ci suonò (e il piano era di famiglia!) in parte ballò stringendo flessuose ragazze. Era visibilmente divertito. Il vinello di casa non mancava mai.
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Il nostro caro, dolcissimo amico, Luigi Salvini, professore di slavistica per chiara fama, nominato poeta nazionale finlandese, che conosceva 23 lingue (e relative letterature), passava da una conversazione in ungherese ad una in francese, da una in tedesco, ad una in bielorusso.